La guerra dei droni: Pechino arma Mosca con tecnologia made in China

Neutralità solo sulla carta. Mentre ufficialmente Pechino si dichiara estranea al conflitto in Ucraina, nei fatti la Cina rappresenta la principale arteria tecnologica che alimenta la macchina bellica di Mosca. Motori, microchip, leghe speciali, fibre di carbonio e sistemi ottici: sono oltre 97 i fornitori cinesi che inviano componenti essenziali alle fabbriche russe di droni, destinati a martellare le città e le infrastrutture ucraine.

Secondo stime raccolte dall’intelligence di Kiev e rilanciate dal Telegraph, la Russia ha speso almeno 55 milioni di dollari tra il 2023 e il 2024 per bombardare l’Ucraina con centinaia di droni kamikaze. Denaro che, attraverso società statali e zone economiche speciali come Alabuga, nel Tatarstan, si trasforma in contratti milionari per le aziende di Xi Jinping.

L’arsenale dei droni

Il piano di Mosca è ambizioso: produrre entro fine anno due milioni di droni FPV (a pilotaggio remoto con visuale diretta), oltre a 30mila velivoli a lungo raggio e altrettanti “esca”, utilizzati per confondere i radar ucraini. In questo schema, i componenti cinesi sono insostituibili. Non è raro che tra i rottami di droni abbattuti compaiano parti con etichette e marchi in caratteri mandarini.

Il patto strategico sino-russo

La cooperazione tra Russia e Cina non è nuova, ma ha assunto una nuova forma dopo il 2014, con l’annessione della Crimea e l’espulsione di Mosca dal mercato militare-industriale occidentale. Se prima era la Russia a fornire armi a Pechino, oggi i ruoli si sono ribaltati: la Cina garantisce tecnologia, materiali e componentistica, mentre la Russia apre le porte alle proprie conoscenze più avanzate su missili, difesa aerea e guerra elettronica.

Il risultato è una partnership di convenienza: Mosca ottiene l’ossigeno tecnologico per sostenere l’offensiva, Pechino accede a know-how strategico e, nel frattempo, inonda il mercato russo con automobili, elettronica e beni di consumo.

Il lato economico

Il legame tra i due Paesi non si misura solo in termini militari. Nel 2024, il commercio bilaterale ha toccato la cifra record di 280 miliardi di dollari, segno di un’integrazione economica che va ben oltre le necessità belliche. La Cina, inoltre, continua ad acquistare petrolio russo a prezzi di favore, consolidando una relazione che intreccia pragmatismo e ideologia.

Neutralità apparente, interessi concreti

Se Xi Jinping evita accuratamente di inviare truppe o forniture militari dirette – per non provocare un confronto aperto con l’Occidente – l’evidenza sul terreno racconta altro. Kiev ha denunciato la presenza di cittadini cinesi arruolati tra le fila russe e ha documentato l’uso diffuso di equipaggiamenti di fabbricazione cinese.

Gli analisti sottolineano che Pechino sosterrà l’alleanza finché le converrà. Quando l’esercito cinese avrà acquisito abbastanza tecnologia da sviluppare in autonomia armi avanzate – in particolare missili, sottomarini e sistemi di guerra elettronica – non è escluso che riveda i termini del rapporto con Mosca.

Un messaggio anche per l’Occidente

La recente parata militare a Pechino, con Putin e Xi fianco a fianco, non è stata solo una dimostrazione di forza rivolta all’Occidente. È stata anche la conferma che l’asse tra i due leader regge su interessi concreti: la sopravvivenza militare della Russia e l’ascesa strategica della Cina.


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Venezia, borseggiatore denuncia i cittadini che lo fermano. Zaia: “Capovolgimento della realtà”

Un nuovo caso scuote Venezia e riaccende la polemica sulla sicurezza nelle calli. Ad agosto un borseggiatore, bloccato con decisione da alcuni privati cittadini, non solo non ha pagato per il reato commesso, ma ha sporto denuncia per lesioni contro chi lo aveva fermato. L’esposto porta la firma del suo legale, l’avvocato Damiano Danesin, e riapre un dibattito che la città lagunare conosce bene.

La reazione del governatore

Durissimo il commento del presidente della Regione Veneto, Luca Zaia, che ha preso le difese dei cittadini:
“È un capovolgimento della realtà. La vergogna non può essere di chi difende Venezia, ma di chi la saccheggia. Non accetto questo ennesimo spregio da parte delle bande di borseggiatori”.

Zaia ha ringraziato quanti, tra residenti e turisti, contribuiscono a segnalare e a fermare i ladri, e ha ribadito la proposta di introdurre il braccialetto elettronico per i borseggiatori seriali, anche acquistato direttamente dalla Regione se necessario.

Il fenomeno dei “cittadini non distratti”

Il caso di agosto non è isolato. Da mesi circolano video virali di cittadini e turisti che, stanchi dei furti, reagiscono bloccando i ladri. Tra gli episodi più noti, quello di una turista americana che ha fermato una giovane borseggiatrice per la coda di cavallo, mentre un’altra donna la colpiva con la borsetta. Le immagini hanno fatto il giro del web, alimentando il dibattito sul cosiddetto “giustizialismo di strada”.

Il comandante della polizia locale, Marco Agostini, ha confermato che più di un ladro ha sporto denuncia contro chi lo ha fermato o filmato, ribaltando i ruoli di vittima e aggressore.

Il nodo normativo

Il codice di procedura penale consente ai privati di fermare una persona colta in flagranza, ma la fattispecie del borseggio resta borderline. Il legislatore ha voluto limitare i margini d’intervento per evitare abusi. Una zona grigia che oggi alimenta tensioni e polemiche.

Emergenza sicurezza e proposte

Secondo i dati diffusi dalla Regione, le bande organizzate arriverebbero a guadagnare fino a 3.000 euro al giorno, approfittando del flusso turistico. Per Zaia, però, non è questione di giustizia sommaria ma di “protezione dell’immagine e dell’onorabilità della città”.

A condividere l’allarme anche il mondo produttivo. Matteo Massat di Confartigianato non usa mezzi termini: “Questa follia ha un nome: la legge Cartabia da un lato e un certo buonismo dall’altro. Non si tratta di poveri disperati, ma di organizzazioni criminali che depredano Venezia e i suoi visitatori. Se non si può modificare la legge, almeno si diano ai sindaci poteri straordinari per fermarli”.

Una città esasperata

Tra cittadini che si improvvisano “vigilantes”, turisti che riprendono le scene con il cellulare e borseggiatori che denunciano chi li ostacola, Venezia si ritrova a fare i conti con un paradosso che rischia di minarne l’immagine internazionale. In attesa che la politica trovi una soluzione, resta la sensazione di una città assediata e di una giustizia che, almeno in parte, sembra girata al contrario.


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Telecamere-spia, la nuova frontiera del cybercrimine: migliaia di video intimi in vendita online

Un occhio elettronico che non si spegne mai, puntato su salotti, camere da letto e persino studi professionali. È da qui che parte l’ultima, inquietante deriva del cybercrimine: migliaia di filmati rubati dalle telecamere di videosorveglianza a basso costo, hackerate da pirati informatici e rivenduti online a pagamento.

Un portale registrato alle Isole Tonga, e quindi difficilmente perseguibile dalle autorità internazionali, raccoglie e organizza oltre 2.000 video provenienti da abitazioni private, palestre, centri estetici e persino ambulatori medici. Le clip, spesso a sfondo sessuale, vengono catalogate per luogo, stanza e tipo di attività, trasformando la violazione della privacy in un vero e proprio motore di ricerca per contenuti illegali.

Il caso italiano

Secondo i dati diffusi da Yarix, centro di competenza per la cybersecurity del gruppo Var di Treviso, sono già 150 i filmati italiani identificati, tra cui tre provenienti da una sola abitazione di Verona. Alcuni hanno superato le 20.000 visualizzazioni. Per accedere al materiale non serve alcuna registrazione: basta collegarsi al portale o a un bot dedicato su Telegram e pagare una quota compresa tra 20 e 575 sterline, a seconda del pacchetto scelto.

Un business globale

I video provengono da dispositivi distribuiti in tutta Europa e oltre: Francia, Germania, Messico, Argentina. L’Italia, con i suoi 150 casi noti, è solo una parte di un fenomeno che rischia di dilagare. A rendere più difficile l’azione repressiva sono le normative leggere dei Paesi in cui vengono registrati i domini e la mancanza di accordi internazionali vincolanti.

La beffa della “giustificazione”

Sul portale compare persino una sorta di manifesto etico, in cui i gestori dichiarano di voler “sensibilizzare l’opinione pubblica sui rischi legati alla vulnerabilità di hardware e software”. Una motivazione surreale di fronte a un sistema costruito per monetizzare violazioni sistematiche della vita privata.

L’allarme degli esperti

“Queste piccole telecamere domestiche, acquistate online a prezzi bassi e installate senza particolari accorgimenti, possono trasformarsi in strumenti di spionaggio involontario” avverte Giorgio Marson, Chief Technical Officer di Yarix. “Molti utenti utilizzano password troppo semplici o addirittura lasciano quelle di default fornite dal produttore. Il primo passo per difendersi è cambiarle subito con codici complessi e, quando non serve, staccare la spina della videocamera”.

Dal 2016 Yarix collabora con la Polizia Postale del Veneto attraverso un protocollo d’intesa e ha segnalato l’attività al Centro Operativo per la Sicurezza Cibernetica (Co.Sc.) di Venezia, affinché vengano avviate indagini.

La lezione da imparare

Il caso dimostra ancora una volta come la sicurezza digitale non sia solo un tema tecnico, ma una vera e propria esigenza sociale. La diffusione incontrollata di immagini intime non riguarda più solo personaggi noti – come il recente episodio che ha coinvolto il conduttore Stefano De Martino – ma rischia di travolgere cittadini comuni, inconsapevoli di avere una telecamera-spia accesa in casa.


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Cassazione, Pasquale D’Ascola nuovo primo presidente

Il plenum straordinario del Consiglio superiore della magistratura, riunito ieri sotto la presidenza del Capo dello Stato Sergio Mattarella, ha nominato Pasquale D’Ascola nuovo primo presidente della Corte di Cassazione. La scelta è arrivata al termine di una votazione serrata: 14 preferenze per D’Ascola, sostenuto dall’area progressista, contro 13 voti e cinque astensioni. Una manciata di schede che ha segnato la differenza rispetto a Stefano Mogini, segretario generale della Cassazione e candidato dell’area più conservatrice.

Il profilo del nuovo presidente

Classe 1958, nato a Reggio Calabria, D’Ascola ha iniziato la carriera a Verona prima di approdare alla Suprema Corte. Dopo un periodo all’Ufficio studi, nel 2018 è stato nominato presidente della seconda sezione civile. Attuale presidente aggiunto, raccoglie il testimone da Margherita Cassano, prima donna a guidare la Cassazione, che il 9 settembre andrà in pensione per raggiunti limiti di età.

Una scelta non unanime

Come previsto, non c’è stata quell’unanimità auspicata dal Presidente della Repubblica. A sostenere D’Ascola sono stati i consiglieri di Area, Magistratura indipendente, Unicost e il laico Ernesto Carbone di Italia Viva. Mogini ha invece raccolto i voti dei togati e dei laici espressione del centrodestra.

A pesare anche le astensioni annunciate alla vigilia dai consiglieri indipendenti Roberto Fontana e Andrea Mirenda, critici verso il meccanismo delle nomine stabilito dal Testo unico sulla dirigenza giudiziaria. Una scelta contestata da parte di Unicost, che ha parlato di scorciatoia mediatica capace di indebolire il Csm e di dare argomenti a chi intende ridimensionare la magistratura.

Le parole del Capo dello Stato

Nel suo intervento, Mattarella ha espresso “apprezzamento” per l’operato di Margherita Cassano, sottolineando come abbia saputo interpretare “l’irrinunciabile autonomia e indipendenza della giurisdizione rispetto a ogni altro potere”. Un riconoscimento che il Capo dello Stato ha voluto suggellare con un’eccezione alla consuetudine di non partecipare alle votazioni.

Rivolgendosi al nuovo presidente, Mattarella ha ricordato che “il sapere giuridico di D’Ascola e la sua lunga esperienza gli consentiranno di guidare con efficacia la Corte, proseguendo nel percorso di rinnovata efficienza avviato dalla presidente Cassano”. Ha quindi invitato il Csm ad assicurare decisioni tempestive e trasparenti, “fondate su criteri al di sopra di divisioni di parte”.


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Scudo penale per i sanitari: responsabilità solo in caso di colpa grave

Dopo anni di rinvii e polemiche, arriva il tanto discusso “scudo penale” per medici e operatori sanitari. Il Consiglio dei ministri ha approvato il disegno di legge delega per la riforma delle professioni sanitarie, introducendo una novità destinata a segnare un punto di svolta: d’ora in avanti i sanitari risponderanno penalmente di lesioni o omicidio colposo solo nei casi di colpa grave, purché abbiano rispettato le linee guida ufficiali o le buone pratiche clinico-assistenziali.

I criteri di valutazione

I giudici, nel valutare la condotta del medico, dovranno considerare non solo le regole scientifiche ma anche i fattori di contesto: carenze di personale o attrezzature, difficoltà legate alla natura dell’intervento, urgenze ed emergenze, perfino la complessità dovuta alla presenza di più specialisti. Una visione più realistica delle condizioni in cui il personale sanitario si trova quotidianamente a operare.

Le nuove disposizioni modificano il codice penale (articolo 590) e intervengono anche sulla legge Gelli-Bianco del 2017, rafforzando il ruolo delle linee guida, che diventano vincolanti. Sul piano civile, la colpa sarà valutata anch’essa alla luce dei fattori esterni che possono incidere sull’attività clinica.

Medicina difensiva nel mirino

Per il ministro della Salute, Orazio Schillaci, e per il Guardasigilli Carlo Nordio, la riforma rappresenta un argine alla cosiddetta “medicina difensiva”, una pratica che costa al Servizio sanitario circa 11 miliardi di euro l’anno e contribuisce ad allungare le liste d’attesa. L’obiettivo è restituire serenità ai medici e ridurre la prescrizione di esami costosi e spesso inutili.

Il presidente della Federazione nazionale degli Ordini dei medici, Filippo Anelli, parla di “provvedimento che restituisce serenità ai camici bianchi”, mentre il segretario di Anaao Assomed, Pierino Di Silverio, ricorda che “un medico su tre subisce una denuncia, ma solo il 3% viene condannato”. Più prudente Guido Quici, presidente di Cimo-Fesmed, che sottolinea la mancanza di una definizione chiara di “colpa grave”, lasciata alla discrezionalità dei giudici.

Le altre novità della riforma

Oltre allo scudo penale, la delega autorizza il Governo ad adottare entro il dicembre 2026 decreti legislativi per ridefinire carriere, incentivi e condizioni di lavoro nel settore sanitario. Tra le misure previste:

  • utilizzo più flessibile dei medici specializzandi;
  • riduzione della burocrazia per il personale ospedaliero;
  • rafforzamento della sicurezza sul lavoro;
  • sistemi premiali legati alla riduzione delle liste d’attesa;
  • certificazione nazionale delle competenze;
  • governance dell’intelligenza artificiale in sanità;
  • formazione universitaria per i medici di medicina generale.

“Ci aspettiamo una riforma inclusiva, capace di valorizzare tutte le professioni sanitarie”, ha dichiarato Diego Catania, presidente della Federazione nazionale degli ordini delle professioni sanitarie tecniche, della riabilitazione e della prevenzione (FNO TSRM-PSTRP).


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Professioni, arriva la riforma: equo compenso, nuove tutele e un ordinamento forense rinnovato

Il mondo delle professioni cambia volto. Il Consiglio dei ministri ha dato il via libera a un pacchetto di disegni di legge delega che punta a riformare in profondità l’intero sistema ordinistico: 14 categorie coinvolte, dall’avvocatura alle professioni sanitarie, dagli ingegneri agli architetti, dai consulenti del lavoro ai medici. Un riordino che si propone di semplificare regole ormai stratificate e di aggiornare le norme alle trasformazioni economiche e sociali degli ultimi anni.

Le novità del Ddl generale

Tra i principi guida della riforma spiccano:

  • Estensione dell’equo compenso a tutti i rapporti contrattuali, non solo con pubbliche amministrazioni, banche e assicurazioni.
  • Definizione dei parametri professionali anche per le categorie che ne sono ancora prive.
  • Tutela per malattie e infortuni gravi, con la possibilità di rinviare i versamenti fiscali e previdenziali.
  • Riforma del tirocinio e dell’esame di Stato, con nuove prove scritte e percorsi formativi più strutturati.
  • Obblighi di formazione continua rafforzati, con crediti destinati alle nuove tecnologie e all’intelligenza artificiale.
  • Maggiore rappresentanza di genere negli organi di governance e nei consigli nazionali degli Ordini.

Il capitolo degli avvocati

Per l’ordinamento forense è previsto un disegno di legge separato, che sostituirà la legge 247 del 2012. Il testo recepisce gran parte delle proposte avanzate dall’avvocatura durante il Congresso nazionale forense, con l’obiettivo di modernizzare la professione e rafforzarne il ruolo sociale.

Tra le misure principali:

  • Riduzione delle incompatibilità, con la possibilità per gli avvocati di assumere incarichi in società di capitali e nelle procedure concorsuali.
  • Partecipazione a società tra professionisti, con la regola che i legali debbano detenere almeno due terzi del capitale e dei diritti di voto.
  • Reti professionali multidisciplinari, che potranno includere altre categorie purché vi sia una presenza qualificata di avvocati.
  • Tirocinio e formazione forense rinnovati, con l’integrazione di corsi obbligatori accreditati e prove concorsuali semplificate.

Le professioni sanitarie

Il pacchetto prevede anche norme specifiche per medici e operatori sanitari, introducendo garanzie più solide in caso di colpa grave e consolidando lo “scudo” per chi opera in contesti complessi e di emergenza.

Le reazioni

Il Governo ha definito la riforma «un segnale di attenzione verso un settore che rappresenta un pilastro economico e sociale del Paese». Soddisfazione è stata espressa dagli Ordini e dalle rappresentanze professionali, che vedono riconosciuto un ruolo centrale al mondo delle libere professioni.

Non mancano però le richieste di maggiore coinvolgimento: diverse sigle sindacali hanno sottolineato la necessità di un dialogo costante non solo con gli Ordini ma anche con le associazioni rappresentative dei professionisti non ordinistici.

Una corsa contro il tempo

L’iter parlamentare si annuncia serrato. Le deleghe dovranno essere esercitate entro sei mesi dall’entrata in vigore delle leggi, con la successiva adozione dei decreti legislativi da parte del Governo. Una tempistica stretta, che impone al Parlamento e all’esecutivo di accelerare per trasformare le linee guida in norme operative.


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Dati personali, il Tribunale Ue dà il via libera ai trasferimenti verso gli Stati Uniti

Non ci sarà un nuovo stop ai flussi di dati personali tra le due sponde dell’Atlantico. Con la sentenza nella causa T-553/23 Latombe/Commissione, il Tribunale dell’Unione europea ha respinto ieri il ricorso presentato da un cittadino francese contro il quadro normativo che regola i trasferimenti di informazioni dall’Unione europea agli Stati Uniti.

Si temeva una terza bocciatura nel giro di dieci anni, dopo i celebri precedenti noti come “Schrems I” e “Schrems II”, che avevano annullato i sistemi Safe Harbor e Privacy Shield. Questa volta, invece, i giudici di Lussemburgo hanno riconosciuto validità alle garanzie introdotte da Washington con l’ordine esecutivo 14086 dell’ottobre 2022 e con la creazione della Data Protection Review Court (Dprc).

Le contestazioni del ricorrente

Il ricorrente, il francese Latombe, aveva sostenuto che la nuova Corte americana fosse priva dei necessari requisiti di imparzialità, essendo istituita sotto l’egida del procuratore generale degli Stati Uniti e dunque dipendente dal potere esecutivo. Inoltre, aveva contestato la prassi delle agenzie di intelligence statunitensi, accusate di raccogliere in maniera massiva e indiscriminata i dati personali in transito dall’Unione europea.

Le motivazioni del Tribunale

Secondo il Tribunale Ue, tali obiezioni non reggono. La nomina e le condizioni di revoca dei giudici della Dprc garantiscono sufficiente indipendenza, e le agenzie di intelligence non hanno alcun potere di interferire nelle decisioni della Corte. Quanto alla raccolta “in blocco” di dati, i giudici europei hanno sottolineato che la giurisprudenza precedente non richiede necessariamente un’autorizzazione preventiva da parte di un’autorità indipendente. È sufficiente che le decisioni possano essere sottoposte a un controllo giurisdizionale successivo.

Un equilibrio delicato

La sentenza conferma dunque la validità del nuovo assetto normativo e scongiura una nuova crisi nei rapporti transatlantici sulla protezione dei dati. L’Unione europea ribadisce così la necessità che i cittadini godano di un livello di tutela almeno equivalente a quello garantito all’interno dei confini comunitari, ma allo stesso tempo riconosce che le misure americane introdotte dopo il 2022 rappresentano un passo avanti sostanziale.


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Si comunica che a causa di anomalie da parte del Sistema Ministeriale (non di Servicematica), si stanno verificando delle interruzioni temporanee nei sistemi di consultazione dei fascicoli telematici.

Consigliamo di ripetere l’operazione in un secondo momento, se non dovesse andare a buon fine.

Non ci sono comunicazioni da parte del Ministero sulle tempistiche di risoluzione del problema.

Ricordiamo che sarà possibile depositare telematicamente con Service1 seguendo l’apposita guida al seguente link LINK GUIDE


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Distretto di Trento – Fermo dei sistemi civile per attività di manutenzione straordinaria

Si comunica che, per attività di manutenzione straordinaria, si procederà all’interruzione dei servizi del settore civile del distretto di Corte di Appello di Trento

dalle ore 15:00 alle ore 19:15 del giorno 9/09/2025.

Durante tale fermo, non sarà possibile utilizzare il Pacchetto Ispettori distrettuale, nè consultare in linea i fascicoli degli uffici del distretto coinvolto dal fermo dei sistemi e procedere alla pubblicazione di una nuova inserzione sul Portale delle Vendite Pubbliche per le vendite di tipologia giudiziaria.

Le modifiche potrebbero interessare l’intero territorio nazionale coinvolgendo anche i sistemi di consultazione del civile.

Ricordiamo che sarà possibile depositare telematicamente con Service1 seguendo l’apposita guida disponibile al seguente LINK GUIDE


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Prima casa e superbonus: più tempo per trasferire la residenza

Il calendario fiscale della “prima casa” si allunga ancora. Con la risposta a interpello n. 230 del 3 settembre 2025, l’Agenzia delle Entrate ha confermato che la sospensione dei termini introdotta durante la pandemia da Covid-19 riguarda anche il periodo entro cui i contribuenti devono trasferire la propria residenza nel Comune in cui è situato l’immobile acquistato con le agevolazioni prima casa.

In pratica, per gli acquisti effettuati tra il 23 febbraio e il 31 dicembre 2020, e per i termini che sarebbero partiti in quel periodo, la decorrenza non parte più dalla data del rogito ma dal 30 ottobre 2023. Da quel momento, i contribuenti avranno 30 mesi di tempo – e non 18 – se sull’immobile sono stati realizzati interventi di efficientamento energetico con il superbonus 110%.

Un caso concreto

Se, ad esempio, un residente a Roma ha acquistato un’abitazione a Milano durante il periodo di sospensione e sull’immobile sono stati effettuati lavori di superbonus, non dovrà trasferire la residenza entro 18 mesi dal rogito, ma entro 30 mesi a partire dal 30 ottobre 2023. In sostanza, avrà tempo fino al 30 aprile 2026.

La normativa di riferimento

La disciplina è frutto di un percorso normativo articolato. L’articolo 24 del decreto legge 23/2020 aveva sospeso i termini in corso al 23 febbraio 2020, mentre successivi interventi legislativi – dal Dl 183/2020 al Dl 228/2021 – hanno prorogato la sospensione fino al 31 marzo 2022. Infine, l’articolo 3, comma 10-quinquies del Dl 198/2022 ha stabilito una scadenza unica al 30 ottobre 2023, con effetto retroattivo dal 1° aprile 2022.

Da quella data i termini hanno ripreso a decorrere: per i casi sospesi, si sommano i giorni già maturati prima del 23 febbraio 2020 a quelli successivi al 30 ottobre 2023; per i termini che sarebbero dovuti partire dopo il 23 febbraio 2020, la decorrenza è ripartita da zero.

Le altre scadenze interessate

Il chiarimento dell’Agenzia delle Entrate non riguarda solo la residenza. Rientrano nella sospensione anche:

  • il termine di 1 anno (ora 2) per il riacquisto di un’altra abitazione principale, in caso di vendita della prima casa acquistata con benefici;
  • il termine di 5 anni entro cui non si può vendere l’immobile agevolato, pena la decadenza, salvo il riacquisto entro un anno;
  • il periodo per cedere un’altra abitazione già in possesso, se acquistata anch’essa con le agevolazioni, al fine di mantenere il beneficio sulla nuova.

Un respiro in più per i contribuenti

La proroga dei termini legata all’emergenza sanitaria offre dunque un margine più ampio ai contribuenti che hanno comprato casa in quel periodo complesso. Una finestra che, in alcuni casi, arriva a coprire oltre sei anni dall’acquisto. Ma resta la regola di fondo: il trasferimento di residenza o il riacquisto devono avvenire comunque entro i nuovi termini, pena la perdita delle agevolazioni fiscali.


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Giustizia: referendum, attivata la piattaforma per la raccolta delle firme digitali

È stato pubblicato ieri in Gazzetta Ufficiale il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri (DPCM) che prevede l’attivazione della nuova piattaforma digitale dedicata alla…

differenza tra copia e duplicato

Differenza tra copia e duplicato di un documento informatico

Sapere qual è la differenza tra copia e duplicato di un documento informatico serve a capire meglio l’utilità dell’attestazione di conformità all’interno del processo telematico.…

Sentenze in chiaro nella Banca Dati di Merito: il TAR stoppa l’anonimato generalizzato

Con la sentenza n. 7625/2025 il TAR Lazio annulla il provvedimento del Ministero della Giustizia: illegittimo oscurare sistematicamente i dati personali nelle decisioni pubblicate. A…

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